Leda (Olivia Colman) arriva nel piccolo paese di un’isola greca per una vacanza solitaria. Insegna letteratura italiana a Boston, è vicina ai cinquant’anni e ha tutto per sembrare una donna di successo: colta e mai sguaiata, l’accento inglese non nascosto né esibito, sulle prime non sembra interessata a fare nuove conoscenze. A chiunque glielo chieda, risponde di avere due figlie sopra i vent’anni: Bianca e Martha.

Nonostante l’amicizia dalla tenerezza ambigua con Lyle (Ed Harris), proprietario dell’appartamento affittato, e quella quasi goliardica con un ragazzo che lavora allo stabilimento balneare (Paul Mescal), resta gelosa dei suoi spazi. Quando un rumoroso gruppo di facoltosi turisti le chiede di cambiare sdraio e ombrellone e lasciare che restino tutti vicini, rifiuta con inattesa rigidità. Finché non inizia a osservare da lontano una delle madri della comitiva: Nina (Dakota Johnson), una sorta di ex-ragazza viziata sposata a un tipo poco raccomandabile, madre di una bambina di pochi anni. Quando la piccola scompare all’improvviso in spiaggia (sarà proprio Leda a ritrovarla) il flusso dei ricordi si scatena: le antiche difficoltà nel conciliare lavoro e maternità, il desiderio di qualcosa di diverso, le relazioni conflittuali.

THE LOST DAUGHTER
THE LOST DAUGHTER: OLIVIA COLMAN as LEDA. CR: YANNIS DRAKOULIDIS/2021

Maggie Gyllenhaal costruisce il suo debutto alla regia, direttamente in concorso a Venezia 78, sulla bravura inattaccabile della sua protagonista: Olivia Colman è pallida e tormentata, attraversa The Lost Daughter come un fantasma inseguito dai ricordi di una vita passata, ma ancora molto presente, che includono senso di colpa e messa in discussione del ruolo materno.

Dirigendo l’adattamento del romanzo di Elena Ferrante, da lei anche sceneggiato, la Gyllenhaal si avventura sul terreno del dramma vissuto sotto il sole di estati umide e calde, in cui il mare contrasta col cozzare dei sentimenti. C’è spazio anche per punte di thriller, quando la pazzia dell’aver rubato la bambola dispersa della figlia di Nina potrebbe esporre Leda alle ritorsioni del padre, che di norma raggiunge la famiglia nei weekend e tutto sembra fuorché un tipo di cui fidarsi.

Poi ci sono i flashback in cui la giovane protagonista (che ha il volto di Jessie Buckley) sperimenta l’infelicità domestica e l’esasperazione di fronte alle dinamiche infantili delle piccole Martha e Bianca. Esasperazione che la porterà a scelte estreme. È lì che affonda le radici il suo disagio?

THE LOST DAUGHTER
THE LOST DAUGHTER (L-R): OLIVIA COLMAN as LEDA, PAUL MESCAL as WILL . CR: NETFLIX © 2021

Insinuante e spesso enigmatico, The Lost Daughter procede come un lungo slalom fra generi che sfiora ma non si impegna a seguire. Eppure la Gyllenhaal tiene il timone del film facendoci dimenticare di essere un’esordiente: il risultato non ha tempi morti, non si annacqua alla ricerca di un equilibrio narrativo fra istanze diverse.

Il film avrebbe però tratto giovamento da una gestione del plot più robusta, più drammaticamente solida. L’intima tragedia di Leda è disegnata senza sbavature e resta a fuoco, ma la sofferenza di un ruolo di madre non esemplare avrebbe forse meritato uno sguardo capace di andare oltre il discreto riserbo: l’approccio è rispettoso della sua protagonista, ma avrebbe potuto esplicitarsi in una portata drammaturgica più possente ed energica.

The Lost Daughter ne esce furbescamente: lo sguardo femminile non è insistito, non esibisce il dolore. Il risultato ha un sapore un po’ schematico, studiato a tavolino, ma anche in questo la Gyllenhaal prova a salvarsi in corner: sembra preferire che a parlare siano le interpretazioni. Anche se né la Buckley né la Johnson possono molto di fronte alla fagocitante bravura della Colman. Harris soffre un minutaggio ridotto, Mescal regge bene il gioco, e sempre convincente si rivela l’ottimo Peter Sarsgaard, compagno di vita della Gyllenhaal qui nel ruolo forse un po’ stereotipato di un fascinoso accademico.

 

 



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